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In realtà, la questione non si pone in termini di stress (termine recente), ma come pratica del buddhismo, concepita 2500 anni fa in India. Ora i monaci Zen giapponesi, eredi di quella tradizione, hanno accettato di sottoporsi a un’indagine scientifica. Con risultati interessanti.

E’ accaduto in 13 monasteri giapponesi che di solito preferiscono sottrarre i loro monaci ad esami esterni. Che cosa hanno fatto i ricercatori dell’università di Tsukuba, insieme a un’università statunitense? Hanno sottoposto dei questionari ai praticanti, da poco tempo accolti all’interno dei monasteri. E, per dirla nel modo più semplice, hanno visto che con la permanenza nel monastero migliorano i parametri di scale che misurano la qualità di vita e il benessere psicologico e mentale (rispettivamente la scala SF-36 e la GHQ-28, riconosciute come strumenti di misurazione clinica in Occidente).

Rimandiamo al lavoro originale per approfondimenti*: il dato più importante è che le scale migliorano all’aumentare del tempo di permanenza nel monastero. Il miglioramento per le persone riguarda la funzionalità fisica, la percezione del dolore (si riduce ove presente), la vitalità, la sfera emozionale ma anche il grado di somatizzazione, l’ansia e la depressione.

La domanda sorge spontanea: che cosa provoca questi effetti nella pratica Zen?

Non si sa. Ancora oggi non è chiaro in che cosa consista la vita quotidiana in questi luoghi, solitamente conservativi: non amano esporsi al pubblico per non disturbare la quiete necessaria alla meditazione. Conosciamo però l’obiettivo: l’auto-realizzazione come insegnato dal Buddha storico, che per lo Zen è Shakyamuni. Sappiamo anche altre cose. Che, per esempio, la meditazione e l’arte di saper porsi domande (koan) aiuta i praticanti ad evolvere, oltre la comprensione intellettuale. Si coltivano anche alcune abilità come la tecnica del respiro lento, particolarmente coltivato all’interno della versione Rinzai dello Zen giapponese. Il canto e il controllo dell’attenzione sono altri strumenti utili allo scopo.

Di certo, la meditazione Zen si ispira alla tradizione meditativa buddhista che in Occidente ha conosciuto grande popolarità grazie al lavoro del dottor Jon Kabat-Zinn: lo specialista tradusse quelle pratiche nella sua tecnica di Mindfulness-based stress reduction, inizialmente diretta a migliorare il benessere riducendo sintomi fisici e distress psicologico.

Nell’immagine uno dei simboli più conosciuti del buddhismo Zen, l’enso. Rappresenta l’illuminazione, che unisce il massimo della pienezza (l’universo) e il vuoto o il nulla (mu). Disegnare l’enso è pratica calligrafica che richiede concentrazione e abilità.

* Shaku F et al. The Journal of alternative and complementary medicine 2014; 20: 406-410
http://online.liebertpub.com/doi/pdfplus/10.1089/acm.2013.0209

 

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